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Ci vogliono cinquant’anni per attuare un Concilio

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Giovanni XXIII aveva chiesto all’Arcivescovo di Bologna, card. Lercaro, cosa pensasse della preparazione dei lavori del Concilio Vaticano II. Il Cardinale gli rispose «Come faccio a saperlo? Non ho nessuno dei miei preti nelle commissioni.» Comincia così l’avventura di mons. Luigi Bettazzi nel Concilio e comincia così il racconto appassionato, profondo ma anche ironico della partecipazione di Bettazzi al percorso di riforma annunciato da Papa Roncalli e completato da Paolo VI.

Un Concilio che, si è ricordato durante l’appuntamento di mercoledì 14 dicembre al Museo Olinto Marella, raccoglieva le speranze e le aspettative di tanti, nella Chiesa e nella società. «Riformarci come cammino verso l’unità» era infatti l’auspicio e l’appello di papa Giovanni XXIII e molti, don Marella compreso, seguivano con trepidazione i lavori delle Commissioni, con l’auspicio che ne uscisse una Chiesa più vicina al suo popolo, più capace di comprendere e accogliere, più protagonista dei mutamenti della società.

Mons. Bettazzi è un fiume in piena. Racconta aneddoti, retroscena, momenti cruciali e punti di svolta, come la capacità della “minoranza” di riuscire a portare uno spirito veramente sinodale in un Concilio che sembrava già scritto, almeno nelle speranze di una certa curia romana e dei cosiddetti “profeti di sventura” – come ha ricordato il card. Zuppi citando il discorso di apertura di papa Giovanni XXIII.

Il racconto personale di mons. Bettazzi si intreccia al racconto collettivo, quello di una Chiesa che in quei giorni si percepisce essere davvero cattolica, ecumenica, pienamente universale. Le eredità del Concilio non sono però completamente attuate, concordano il card. Zuppi e mons. Bettazzi. Nell’impegno attuale del cammino sinodale l’Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI vede proprio la prosecuzione e il potenziamento di quel metodo ereditato dal Concilio, un impegno che ci chiama a raccolta tutti secondo un principio di corresponsabilità. Il card. Zuppi ricorda poi l’immagine usata da Paolo VI per raccontare cosa sia stato il Concilio: «un suono di campane che si effonde nel cielo e arriva a tutti e a ciascuno nel raggio di espansione delle sue onde sonore, che risuona e urge all’orecchio di ogni uomo. Per la Chiesa cattolica nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano.»

Alla richiesta di quali siano ancora i grandi incompiuti del Concilio Vaticano II, di quali obiettivi non abbiano ancora trovato pieno esercizio nella Chiesa di oggi, mons. Bettazzi riporta l’attenzione su uno dei temi centrali dei dibattiti, ovvero la liturgia. Una delle più grandi rivoluzioni del Concilio non ha ancora trovato quella reale partecipazione del popolo di Dio che era tra gli auspici e i mandati dei lavori e delle Costituzioni. La partecipazione dei laici alla liturgia è ancora troppo passiva e relegata a spazi troppo limitati e codificati, c’è bisogno di un diverso protagonismo e di una maggiore partecipazione.

La Chiesa dei poveri invece, tanto auspicata dai molti vescovi di ogni parte del mondo durante il Concilio, sta trovando finalmente compimento con l’elezione a Sommo Pontefice di Jorge Mario Bergoglio. Papa Francesco sta guidando una Chiesa povera e per i poveri e forse è proprio vero, come mons. Bettazzi ricorda citando Yves Congar, che ci vogliono cinquant’anni per poter conoscere pienamente e attuare un Concilio.