Quando nell’anno 1925 iniziai a frequentare il triennio di Liceo Classico presso l’Istituto Galvani, insegnante di storia e Filosofia della mia sezione era il Prof. don Olinto Marella. Confesso che il primo impatto con quella persona indubbiamente affascinante, ma nel contempo estremamente diversa dagli altri insegnanti sia per abbigliamento che per atteggiamenti, fu un po’ difficile. Ci divertivamo ad aprire con lui dei veri e propri contraddittori. Ciò era possibile perché diverso dagli altri era pure il suo metodo di impostare l’insegnamento: conoscendo bene i problemi di noi giovani che per amore di sport avremmo sacrificato ogni altra cosa, egli ci provocava scegliendo argomenti di dimensione che ci toccavano nel vivo.
Col passare del tempo anche noi cominciammo a gustare quel suo modo di fare scuola, tanto che, quando egli, per approfondire certi problemi, ci indirizzò verso la Biblioteca dell’Archiginnasio, fornendoci di volta in volta le adeguate bibliografie, in poco tempo noi prendemmo confidenza con questo importantissimo metodo di studio, che per ciascuno di noi è stata una ricchezza che ci ha accompagnati per tutta la vita.
Non tutti accettavano questo suo particolare modo di insegnare e non sono stati rari i casi di genitori o colleghi di altre discipline che lo hanno contrastato per quel suo modo soggettivo di approcciarsi ai programmi ministeriali. Per lui l’insegnamento era l’applicazione pratica di quella sua spinta verso la carità, intesa nel modo più aderente al Vangelo. La Carità, secondo quanto egli pensava, è un dono gratuito che ciascuno di noi riceve, per farne a sua volta dono per gli altri.
A Padre Marella non interessavano i plausi. A chi gli chiedeva se non si sentiva solo o inutile quando celebrava l’Eucaristia senza nessuno che fosse presente, egli rispose: “Questa è la mia vera e completa beatitudine: io e Lui”.
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