Ricordo che da ragazzo, uscendo a mezzanotte da un cinema di Via Indipendenza insieme a un amico, notammo un uomo rannicchiato ai piedi di una colonna, barba bianca incolta, abito nero e sciupato, cappello in mano a chiedere elemosina.
Da allora lo incontrai molte altre volte all’angolo di una strada, vicino a una chiesa, oppure su una bicicletta traballante, ma se penso a Padre Marella, lo rivedo impresso nella mia memoria come lo notai in quella notte.
A vedere in quello stato un uomo di grande cultura come lui, si poteva pensare a un suicidio dell’intelligenza e invece era quella la forma più sublime di povertà: quella della totale spersonalizzazione di sé a favore dei poveri. Non era nato povero. Anzi.
Allontanando da sé il senso del possesso, scelse volontariamente la povertà e si fece più povero dei poveri. Si spogliò della sua cultura, di ogni suo avere materiale. La sua presenza silenziosa era una predica vivente.
“I poveri saranno sempre con voi” recita il Vangelo, e infatti Padre Marella riuscì a incontrarli tutti, identificandosi con loro. Capì che la povertà evangelica doveva essere un composto di povertà spirituale e materiale. L’una senza l’altra non è virtù e non è merito.
Come per Gesù la realizzazione delle profezie fu l’essere inviato ai poveri, così per Padre Marella la sua sollecitudine per gli infelici, gli infermi, gli ultimi, la sua povertà integrale furono la realizzazione di quel Regno di giustizia, di misericordia, di amore completamente gratuito che Dio vuole stabilire con noi.
Forse, stoltamente, non ci siamo accorti della presenza di quel Regno. Ogni tanto la storia della Chiesa riceve riflessi particolarmente luminosi da alcuni cristiani d’eccezione.
Progetto realizzato nell’ambito del bando Memoria del ‘900 promosso da