È il 1954 e fuori dall’istituto di detenzione minorile Beccaria di Milano inizia la storia di Glauco, figlio tra i figli di padre Marella.
Glauco non ha mai avuto un padre, o meglio «ne ho avuti due o tre, che non sono mai durati». Non sa spiegare cosa sia di preciso un padre, o almeno cosa dovrebbe essere. Per lui suo Padre è stato padre Marella, che è stato molto più di un padre.
Uscito dall’istituto Beccaria si cerca una collocazione per questo diciassettenne un po’ travagliato ma con ancora un’intera vita da scrivere. Si parla di un tale don Olinto Marella che a Bologna accoglie i ragazzi e che non fa distinzioni, dice Glauco, tra bianchi, neri, belli e brutti.
«Arrivato a Bologna vengo accolto nel capannone adibito a dormitorio in via Piana, in quell’angolo povero dove Marella aveva dato vita ai laboratori, dormitori e alle officine. 120 ragazzi apprendono un mestiere ogni giorno, tra questi anche io». Padre Marella è amorevole e severo, sa che l’unica speranza per i suoi ragazzi di potercela fare è imparare un mestiere, studiare, impegnarsi e rendersi autonomi. «Di giorno si lavora, ma subito dopo ci sono le scuole serali, perché l’istruzione per Padre Marella era fondamentale».
Don Marella è ovunque: il giorno la questua in centro, la sera dai suoi ragazzi, alla messa e poi di nuovo di corsa alla questua. Conosce tutti, li ama tutti, più sono difficili e più pazienza e ostinazione mette nella relazione. «Ricordo che a pranzo, in via del lavoro, don Marella ospitava sempre anche altri trenta poveri signori a cui dava anche 40 lire ciascuno per poter trascorrere la notte al dormitorio al ponte di San Donato. Faceva così ogni giorno».
Glauco vive accanto a don Marella, asseconda le sue richieste. Come quella di andare a Brento, allora spopolata e collegata soltanto da una mulattiera, per costruire una chiesa. La pianta della chiesa la disegna rigorosamente don Marella, così come ha fatto con quella della Sacra Famiglia a San Lazzaro che ricorda il suo amato santuario della Madonna dell’apparizione di Pellestrina». «Io e i miei fratelli abbiamo costruito la chiesa sulle macerie di una palazzina crollata durante la guerra. Era il 1958, l’abbiamo costruita con le nostre mani».
«A Bologna il cardinal Lercaro stava mettendo in piedi i primi villaggi per le giovani coppie e aveva raccolto le richieste dei giovani bisognosi, tra cui anche noi di don Marella, che fiducioso con noi attende la consegna delle chiavi per me, Giovanni, Mario e gli altri… Quelle chiavi però non sono mai arrivate per noi e la delusione fu tanta».
Con la nota tenacia che ha contraddistinto tutta la sua vita, don Olinto decide così di dar vita al suo villaggio, per non deludere i suoi ragazzi: progetta e costruisce case, capannoni, chiesa e comunità. Glauco è tra i primi a rispondere alla chiamata, desidera la sua casa per iniziare la sua nuova vita.
«Cosa succede dopo? Comincio a scavare, costruire, insomma sogno il mio futuro. Vado a lavorare per Dino Gavina (che dedicherà a Padre Marella una serie di mobili componibili, chiamata appunto Olinto), poi vado a lavorare a Bologna dalla ditta Martelli e poi torno a San Lazzaro da Gavina alla Gemini».