Agnese Corona
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Sono stata sempre avviata verso i sacerdoti come persone alle quali ci si può confidare. E così, vedendo Padre Marella davanti alla Chiesa, povero e bonario, paziente e tollerante con le persone che gli rivolgevano la parola, mi sentii la forza di esporgli il mio caso. Era domenica, con tanta gente che entrava e usciva dalla Chiesa. Mi fermai di fronte al Padre e conclusi: “Mi potrebbe aiutare?”. Alzò gli occhi e rispose con un filo di voce: “Perché no? Vieni!”. Mi licenziai dalla famiglia e andai in Via Pier Crescenzi, cominciando ad aiutare il Padre.

Forse lavoravo di più di quando servivo nella famiglia precedente, ma trovavo tutto nuovo: arrivava il medico, il fornaio, il gruppo delle volontarie, il camion del mercato, il benefattore che in tutta fretta lasciava l’offerta, un pacco, non mancava mai il povero che diceva: “Non ho ancora mangiato”.

Posso definire Padre Marella l’uomo della sicurezza e della serenità. Non esistevano per lui imprese impossibili e problemi insolvibili. Notavo pure che davanti alle prove inconfondibili dell’intervento della Provvidenza, egli non si esaltava in esclamazioni, ma era come si trattasse di una cosa che era attesa, in quanto per lui normale.

 

Progetto realizzato nell’ambito del bando Memoria del ‘900 promosso da