Achille Ardigò
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Ho conosciuto personalmente e ammirato Padre Marella. Un intellettuale cattolico che ha saputo farsi “barbone” per aiutare i miseri e che nella questua in ogni stagione all’angolo di una nota salumeria di Bologna, se interrogato, rispondeva anche da intellettuale: questo mi ha sempre colpito in lui.

Ricordo il privilegio che ho avuto di una lunga conversazione in treno con lui. Mi ha detto che tornava da un colloquio con il suo amico Papa Giovanni XXIII e traspariva una grande penetrazione spirituale nella missione del Papa.

Credo che Don Marella sia giunto a costruire la sua Opera e ad essere, per essa, come un mendicante, in seguito a un percorso di impegno ecclesiale che lo ha aperto a quasi sacrificare le sue doti di intellettuale cattolico per un cammino di povertà e di carità in cui  ha trovato la radicalità della Fede.

Come intellettuale cattolico socialmente aperto e come prete, Don Marella poteva esercitare un ruolo culturalmente non trascurabile nel suo tempo. Eppure, la sua scelta è stata altrove.

Le idee di Don Marella che lo hanno portato alla scelta della sua Opera le posso ricostruire non partendo da radici umanitarie e nemmeno socio-religiose.

È stato un carisma che ha premuto sulla volontà, non solo su idee; deve essere stata una svolta in cui la Grazia dello Spirito si deve essere espressa attraverso una opzione mistica.

 

Progetto realizzato nell’ambito del bando Memoria del ‘900 promosso da