Era il 1943, mia madre era morta da poco e io e mio fratello Piero venimmo accolti a Villa Tombetta nella Casa Rifugio di Padre Marella.
Eravamo quindici bambini e suor Giacinta. Io avevo undici anni, perciò ero uno dei “grandi”. Noi grandi dovevamo prenderci cura dei più piccoli e di tre ragazzi disabili e facevamo altri incarichi: la spesa, andare a prendere l’acqua, stare dietro alle bestie… Il Padre veniva una volta a settimana in bicicletta a trovarci. Arrivava alla sera tardi e diceva la Messa, fosse anche mezzanotte. Poi mentre ci confessava spesso si assopiva per lo sfinimento. Alla mattina ripartiva per Bologna.
Nel ’45 sono venuto a Bologna in via del lavoro. Quattro suore imeldine si occupavano della casa e dell’asilo. Noi ragazzi dormivamo nello scantinato sotto la chiesa e il Padre dormiva anche lui lì in uno spazio minuscolo. Ho cominciato a fare l’apprendista falegname ai Salesiani e le scuole serali, fino al 1948, quando poi fu fondata la Città dei Ragazzi di via Piana. All’inizio eravamo circa cento ragazzi che dormivamo in un capannone e c’erano varie officine di apprendistato. Ognuno aveva dei compiti… io dovevo dare la sveglia a tutti.
Padre Marella era severo con noi. Quando ci alzavamo dovevamo fare il cubo nel letto come i militari: se uno non lo faceva arrivava alla sera e non si trovava più il materasso! A volte il Padre tirava anche dei ceffoni, confesso. Si arrabbiava molto se uno sciupava.
Faceva qualsiasi sacrificio per i suoi ragazzi. Se un ragazzo aveva bisogno lo capiva, se gli chiedevi lui dava. Poi ci portava in vacanza e a fare dei giri. Nel 1950 siamo andati tutti insieme alla celebrazione dell’anno Santo a Roma. Dopo le celebrazioni proseguimmo fino a San Giovanni Rotondo per andare da Padre Pio. Padre Marella andava da lui quando aveva bisogno di ricaricarsi spiritualmente. A volte ci caricava tutti stipati sul camion e se i vigili lo fermavano spesso lo lasciavano andare perché era Padre Marella.
Era molto conosciuto. Una volta, per il matrimonio di una sua nipote, dovette assentarsi dalla questua, allora lasciò il suo cappello sul seggiolino al solito angolo. Quando tornò a prenderlo era pieno di soldi: nessuno avrebbe osato rubare qualcosa dal cappello di Padre Marella. Aveva una fede fortissima nella Provvidenza e ne non ne fu mai tradito.
Nel 1954 la Città dei Ragazzi si trasferì a San Lazzaro nelle nuove strutture che il Padre aveva fatto costruire: laboratori, dormitori e ventiquattro casette per i suoi figli che si sposavano. Alcuni ex allievi diventarono i nuovi maestri: io ho insegnato falegnameria.
Verso la fine dei suoi giorni il Padre soffriva molto, aveva due ernie e altri problemi. Io lo accudivo in tutto e mi diceva: «Che Dio te ne renda merito», e io rispondevo: «Padre, dopo tutto quello che hai fatto per me?» e mi commuovevo. Per me lui è stato padre, madre, tutto.
Gli ex allievi che hanno vissuto quei periodi se lo ricordano come un tesoro, nonostante tutte le difficoltà. Quando morì i bolognesi arrivarono a migliaia per salutarlo, si guardavano intorno e si stupivano della Città dei Ragazzi che il Padre aveva realizzato soltanto con le offerte. Padre Marella diceva sempre che le opere degli uomini spariscono, solo l’opera di Dio è impossibile da abbattere.