Eravamo nel 1941 quando l’ing. Marzola, che era stato suo collega alla Scuola di Guerra di Torino, mi portò a Bologna da Padre Marella e, per tutta la giornata sino a tarda sera, lo abbiamo accompagnato nella visita alle “Case” in cui aveva raccolto ragazzi e bambine.
Immediata fu la nostra percezione che Egli viveva soltanto per gli altri, e che si era fatto povero per sfamare i poveri.
All’ingresso di ogni Casa, i suoi ragazzi e le sue bambine si precipitavano attorno al Padre, lo assediavano, gli si buttavano al collo, lo baciavano e lo acclamavano, come un naufrago accoglie chi lo salva, e come il più affettuoso bimbo si butta incontro alla mamma più cara.
Da allora quante e quante volte mi sono incontrato con Lui, quando veniva a Ponte Nuovo di Magenta, nello stabilimento Saffa che io dirigevo, e lì trovava l’ottimo mio collaboratore, Giovanni Venturini, romagnolo di nascita, bolognese di elezione e con spirito di carità evangelica, sempre pronto a soddisfare con gioia ogni richiesta del Padre: attrezzature, semilavorati, materiali vari.
Arrivava sempre di primo mattino, sul camioncino della Città dei Ragazzi.
Sapevamo che ogni volta era partito da Bologna dopo la mezzanotte e che non poteva essersi riposato.
Sapevamo – ma mai da Lui – che anche quella notte i suoi ragazzi l’avevano trovato, per farlo salire accanto all’autista per il viaggio a Magenta, davanti a un cinema o a un teatro o alla stazione ferroviaria della sua Bologna, con il cappello pronto ad accogliere ogni gesto di carità. Così come lo ripenso ancora, più vivo e ammonitore che mai.
Lo ricordo con il suo sguardo di serena bontà, che sapeva nascondere l’interminabile fatica delle sue giornate, dei lunghi viaggi in bicicletta per visitare le sue Case e per riempire le ampie borse di quanto vestire e sfamare i suoi ragazzi.
Quando celebrava la Santa Messa, al suo arrivo a Ponte Nuovo di Magenta, non si notava nella voce, negli occhi e nei gesti nessuna traccia dell’accumulo sovrumano di stanchezza delle notti trascorse in camioncino.
La violenza del suo triplice percuotersi il petto, il “confiteor” dei suoi “mea culpa, mea culpa, mea culpa” ci rendevano estremamente commossi nel sentirci accanto un Santo che si dichiarava gran peccatore.
Mi è difficile immaginare come Padre Marella possa, ora, in Paradiso, acclamare Dio con maggiore trasporto del “Santo, Santo, Santo è il Signore…” delle sue Messe. La voce, lo sguardo e le mani alzate erano piene di fede, di speranza e di carità al “Padre nostro”, e la certezza nella Provvidenza sapeva non farlo tremare al “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
Padre Marella veniva da noi non solo per ricevere egli stesso quanto potevamo dare ai suoi ragazzi e per renderci un grazie immediato, ma veniva anche nelle ricorrenze liete delle nostre famiglie, e soprattutto non mancava mai nei giorni delle lacrime e ci consolava come i Santi sanno consolare.
Tengo ancora vivissimo il ricordo di quanto Padre Marella fece per la mia sposa Gianna.
Appena seppe che Gianna stava male, corse all’ospedale di Monza in cui era ricoverata, non l’abbandonò nei giorni del suo calvario, celebrando la Santa Messa nella Cappella dell’ospedale, l’ha assistita nell’agonia, l’ha accompagnata morente alla sua casa di Ponte Nuovo di Magenta, ha benedetto la salma, ha assistito ai funerali e la sera stessa della sepoltura disse al Parroco: ‘In tempi in cui la Chiesa era meno burocratizzata, le lacrime, le preghiere, le invocazioni, il trionfo dei suoi funerali, il martirio della sua maternità, avrebbero significato di per sé la canonizzazione “.
Conservo altri carissimi ricordi di Padre Marella; ne cito alcuni.
Volle farci l’onore di presenziare alla consacrazione della nuova Chiesa di Ponte Nuovo e in quella occasione incontrò il Cardinale Montini.
Volle essere con noi quando sono state intitolate a Gianna Beretta Molla le Scuole Elementari di Stato di Ponte Nuovo (24 settembre 1966) e in quella cerimonia, alla presenza del Cardinale Giovanni Colombo, ci disse: “Devo ricordare che a Ponte Nuovo ebbi, il I° maggio 1963, la ventura, la consolazione, l’onore di reincontrarmi con Sua Santità Paolo VI un mese prima che fosse elevato alla Cattedra di San Pietro, dopo tanti anni che non ci si ritrovava e, come ebbe a ricordare in quell’occasione, ci univa il comune ricordo dell’attività spesa in quell’azione dei laureati cattolici da Lui tanto amata e promossa con fervido zelo “.
Ci disse anche: “Con tutti della Saffa mi trovo come in una famiglia, ché tale è divenuta da anni, per la loro bontà e cordialità, e tanto più convincente e commovente quanto più costante e generoso il rapporto che ho potuto sperimentare per la persona mia e per i ragazzi dell’intera opera nostra che la Saffa ha tanto beneficato “.
Ricordo che Padre Marella gradiva ogni cosa per i suoi ragazzi, per le scuole e i laboratori della sua opera, ma non ci nascose un gradimento particolare per il dono fattogli dalla Saffa della “Casa del Pellegrino”, perché realizzava il sogno da anni perseguito dell’urgenza della sua carità: quello di prevenire e subito soddisfare le necessità del suo prossimo, del “pellegrino”, che ancora non conosceva, ma che avrebbe potuto incontrare.
Nel ricordare Padre Marella torna spontanea anche la mia grandissima ammirazione per la sua profonda e vasta cultura, per la chiarezza e la sapienza delle sue idee e per il suo pensare profetico.
Avevo saputo che Egli, professore di filosofia e di teologia a 21 anni, aveva abbandonato l’insegnamento dal 1938 perché fosse piena la sua disponibilità per i poveri, ma rimase uomo colto. profondo e documentato ad ogni circostanza, nelle valutazioni e nei giudizi su argomenti o su eventi di religione e di cultura, di umanesimo e di sociologia.
In occasione del Concilio Vaticano 11, ebbe l’iniziativa di provvedere personalmente, con la Scuola Grafica dei suoi ragazzi, alla ristampa fotostatica di un libro ormai introvabile, “L’unità d’Origine del Linguaggio” di Alfredo Trombetti, il grande glottologo bolognese e suo devoto amico.
Nel dedicare la ristampa dell’opera a tutti i Vescovi e Padri Conciliare, Padre Marella ne ha fatto una prefazione che riassume il concetto stesso che Egli aveva dell’opera d’arte: “L’opera di Aedo Trombetti è stata concepita, è nata con la genialità che è dono divino, con lo studio che è apporto umano, nel sacrificio più nascosto e fecondo, illuminato e illuminante, della luce divina eco della voce divina “.
Ai rappresentanti più qualificati religiosamente di tutti i gruppi umani, Padre Marella esprimeva il voto che l’omaggio dell’opera del Trombetti (dottissima sintesi dell’esame analitico e comparativo delle grammatiche e dei vocaboli fondamentali di oltre 100 lingue) potesse “contribuire a far risuonare nel mondo, più alta e concorde, l’eco della voce divina suscitata dal Divino Afflato “, che solo può “rinnovare la faccia della terra “, trasformare la “torre di Babele ” in una novella Pentecoste in cui rioda e ridica ognuno nella propria lingua le grandezze divine, ricrearci e redimerci nella vita e nell’amore, nella giustizia e nella pace “.
Conservo carissimo quel libro che Padre Marella mi ha donato e conservo con commozione la pagellina con la cara immagine paterna che i suoi ragazzi hanno voluto diffondere quando ci ha lasciati per salire al Cielo.
Ogni volta che la riguardo, ripeto anch’io con loro: “Meritò di contemplare la fine della sua giornata terrena con quella serenità sovrannaturale che è, per quelli che sono di Dio, la più preziosa delle grazie, per quelli che rimangono, la più dolce delle consolazioni. Non rattristiamoci quindi di averlo perduto, ma ringraziamo Dio di avercelo dato “.
Nella mia ultima visita a Padre Marella, qualche giorno prima della sua morte, ho visto io stesso “quella serenità sovrannaturale” quando mi disse “Se l’opera che ho creato per i miei ragazzi è conforme alla volontà di Dio, certamente durerà “.