Da prete ed insegnante egli ribadisce lo scopo del suo insegnamento che non è soltanto trasmettere delle informazioni ma formare l’intelligenza. Don Olinto negli anni ’10, giovane prete a Pellestrina-Chioggia, era sospettato dalla chiesa di essere troppo moderno e venne aperta un’inchiesta. Emergerà questa testimonianza: lui insegnava in seminario ed alcuni seminaristi avevano chiesto quale fosse la verità su una cosa che riguardava la bibbia. Avrebbe dovuto dire che l’unica verità era quella ritenuta tale dalla chiesa, ed invece la sua risposta fu: “dobbiamo tenere ciò di cui si è convinti”. A chi era alla ricerca di verità assolute, tali per autorità, egli proponeva un processo che porta a scoprire la verità. Questo non significa dire che non esiste una verità e vanno bene tutte le opinioni, quanto piuttosto che si tratta di compiere un rigoroso cammino di convergenza del pensiero, perchè esiste una sorta di coscienza intellettuale, che non lascia scampo, che ti fa vedere le cose come sono davvero. Questo presuppone fiducia nella persona, specificamente fiducia nei processi umani e rigore verso la verità che si manifesta. Il contrario sarebbe sfiducia circa la possibilità umana di trovare la verità o pressapochismo nello piegare la verità al proprio comodo, alle proprie opinioni.

Quanta fatica per un educatore che voglia insegnare “i veri valori” veri ai ragazzi e si accorge che non funziona imporre le cose dicendo “è così, fidati di me”, ma sarebbe deleterio anche dire “pensa quel che vuoi”. E quanta fatica anche a trasmettere agli adolescenti la bellezza del cercare la verità, dello studio di cose che appassionano.

Come si fa a scoprire dentro di se quella piena coscienza della realtà?
L’arte della maieutica è quella che fa porta alla luce quella verità che è già dentro ciascuno di noi.
La scuola aiuta questo ed in che modo?
C’è spazio nei nostri percorsi formativi o educativi per nuovi pensieri, per la ricerca della verità?
Come educare a rispondere responsabilmente non solo delle azioni fatte ma anche delle scelte intellettuali?

Oltre le verità assolute insindacabili o il regno violento delle opinioni urlate c’è la ricerca della verità, nella convergenza delle interpretazioni.

Approfondimenti

Fin dagli anni del Seminario romano, Olinto riconosce che quell’ambiente  è una gabbia per la sua libertà. Ed infatti, da prete ed insegnante egli ribadisce lo scopo del suo insegnamento: formare l’intelligenza.

→ Il carteggio del suo vescovo durante l’indagine per accusa di modernismo dalla quale emerge che Marella insegnava la ricerca della verità invece che proporre l’insegnamento per autorità.

→ Nel 1962 invia a tutti i vescovi convenuti per il Concilio la riedizione di un testo di un certo Alfredo Trombetti, su gli idiomi umani e le loro radici: “L’unità d’origine del linguaggio”. Ma il tema, che potrebbe sembrare fuori luogo, gli serve per rivolgersi ai Padri Conciliari ponendo loro, a partire dalla questione linguistica (questione che al Concilio non fu certo banale), una questione epistemologica decisiva in tutti i campi: civile, religioso, scientifico ecc.: si deve ricercare un’unica verità ed un unico modo di esprimerla? E come conciliarla con la libertà di parola?

Insomma: come cercare una verità comune senza appiattire le diversità soggettive? La risposta di Marella è chiara: per evitare la Babele delle lingue che non si comprendono (nella parcellizzazione dei singoli pareri) ma anche per non cedere alla tentazione della lingua unica (imposizione monolitica della verità), occorre entrare nella logica della Pentecoste, in cui ognuno dice nella sua lingua, le opere di Dio.

É un cammino di conversione intellettuale, che richiede fiducia nell”umano e rigore rispetto alla verità che si scopre, pagando di tasca propria (Marella cita Dante, forse riferendosi alla sua sospensione: “Della libertà, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”).

→ Padre Marella ed Helen Kerrel. Potrebbe essere l’occasione per approfondire questa figura.

 

a cura di don Paolo Dall’Olio